L’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed Eurosportello Confesercenti, presentano la seconda edizione del corso di alta formazione per “Esperto in gestione e utilizzo dei fondi europei” che partirà il 10 marzo 2017.
Si tratta di un percorso di 160 ore di teoria e pratica, organizzate in 40 moduli che si terranno a Firenze il venerdì pomeriggio e il sabato mattina da marzo a ottobre 2017. Questa seconda edizione sarà ancor più incentrata sui profili professionalizzanti. A questo proposito il 20% del monte orario complessivo sarà dedicato alla stesura di proposte progettuali. Gli elaborati verranno presi in considerazione, insieme ai risultati di un test finale, per l’assegnazione delle 2 Borse di progettazione (ciascuna del valore di 1000 euro lordi) previste anche in questa seconda edizione.
Il percorso formativo si rivolge a laureati, laureandi, professionisti e dipendenti interessati a integrare e completare il proprio curriculum con competenze di tipo operativo. In particolare i partecipanti acquisiranno quell’insieme di strumenti e tecniche necessarie per conoscere, orientarsi e beneficiare delle risorse dell’Unione europea che, attraverso programmi comunitari e fondi strutturali, sostengono progetti innovativi e la coesione territoriale.
Lezioni e Laboratori si tengono presso la sede di Eurosportello Confesercenti in Via Pistoiese, 155 – Firenze. È possibile iscriversi all'intero corso, oppure acquistare separatamente i moduli in base alla tematica prescelta.
Per il calendario, il dettaglio dei costi e la scontistica si invita a consultare il sito www.scuolaprogettazione.eu.
Per Info Pietro Viganò: tel 055 - 315254 - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
“I dati diffusi oggi dall’Istat – dice Confesercenti – ci restituiscono l’immagine di una ripresa più lenta di quanto ci si aspettasse, con troppi chiaroscuri. L’andamento che ne risulta è infatti lievemente positivo ma, come ormai accade da un po’ di tempo, non in misura determinante, sia nell’industria sia nel commercio“.
“Il fatturato dell’industria – spiega – se confrontato con quello di novembre del 2014, e corretto per il calendario, cresce dello 0,8%, ma purtroppo rimane in flessione rispetto al mese precedente. Un ruolo nel rallentamento lo gioca la dinamica negativa della vendita di prodotti energetici. Per gli ordinativi va invece molto meglio, segnando un 12, 1% in più, sempre rispetto a novembre 2015. Ma dando uno sguardo d’insieme a tutti gli undici mesi del 2015 non si rileva una costanza del segno più, quanto piuttosto un andamento ondulatorio, che oscilla inevitabilmente tra positivo e negativo”.
“Lo stesso – prosegue – si può dire per i dati sul commercio al dettaglio: le variazioni del volume di vendite dei primi undici mesi sono moderatamente positive (+0,3%), ma il mese di novembre segna una marcata riduzione rispetto allo scorso anno (-1% in volume). Per le imprese su piccole superfici, rispetto a novembre dello scorso anno e grazie al non alimentare, la variazione delle vendite è lievemente positiva (+0,2%) e migliore di quella della grande distribuzione (-0,5%), penalizzata forse anche dalla preoccupazione seguita agli attentati di Parigi – avvenuti proprio a novembre – ed al rischio del ripetersi di attacchi nei luoghi più frequentati, tra i quali, appunto, centri commerciali e supermercati”.
“Il rimbalzo – conclude – però non basta a risollevare le piccole, ancora schiacciate tra consumi troppo timidi e l’aumento della pressione competitiva del mercato dovuta alla deregulation degli orari e dei giorni di apertura, tutta a favore delle grandi superfici. Un dato che emerge chiaramente dal differente andamento registrato dalle due tipologie dimensionali di imprese nei primi 11 mesi del 2015: le vendite delle piccole si flettono in volume (-0,7%) mentre registrano una stasi in termini di fatturato (0,0%) mentre le grandi migliorano dell’1,7% in valore e restano in area positiva anche in volume”.
Questi i dati dell’Istituto:
a novembre il fatturato dell’industria diminuisce dell’1,1% rispetto a ottobre, con identiche variazioni sul mercato interno e quello estero. Rispetto a novembre 2014, invece, c’è un aumento dello 0,8% (+2,2% al netto dell’energia) nei dati corretti per gli effetti di calendario. Nella media degli ultimi tre mesi, l’indice cala dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti. Sulla flessione trimestrale pesa la dinamica negativa delle vendite di prodotti energetici, al netto dei quali il fatturato risulta, complessivamente, in lieve crescita (+0,1%). A novembre gli indici destagionalizzati del fatturato segnano incrementi congiunturali per l’energia (+0,6%) e per i beni di consumo (+0,3%), mentre registrano una flessione i beni strumentali (-3,7%) e i beni intermedi (-0,5%). A livello tendenziale l’Istat osserva come le variazioni positive più significative riguardano i settori della fabbricazione di mezzi di trasporto (+8,0%), della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (+6,1%) e delle attività estrattive (+5,5%). Le variazioni negative più marcate si rilevano nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-16,1%), nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-4,5%) e nell’industria del legno, carta e stampa (-2,5%).
Per quanto concerne le vendite al dettaglio: a novembre 2015 aumentano dello 0,3% in valore rispetto a ottobre. Rispetto a novembre 2014 c’è un calo dello 0,1% (dati grezzi). Questa diminuzione è dovuta alla flessione della grande distribuzione (-0,5%), mentre sono in crescita le vendite dei piccoli negozi (+0,2%). Nella grande distribuzione il valore delle vendite diminuisce, in termini tendenziali, dello 0,3% per i prodotti alimentari e dello 0,8% per quelli non alimentari. In particolare, l’Istituto segnala come diminuiscano le vendite di ipermercati e supermercati (rispettivamente -2,5% e -0,6%) mentre aumentino quelle dei discount (+0,8%). Nelle imprese operanti su piccole superfici, le vendite diminuiscono dello 0,4% per i prodotti alimentari e aumentano dello 0,5% per quelli non alimentari. In generale, nel confronto con il 2014, il valore delle vendite cala dello 0,2% per i prodotti alimentari ed è invariato per quelli non alimentari. Nei primi undici mesi del 2015, il valore complessivo delle vendite vede un incremento tendenziale dello 0,8% con variazioni positive sia per gli alimentari sia per i non alimentari (rispettivamente +1,3% e +0,6%). Quanto all’indice in volume delle vendite, questo registra una variazione positiva rispetto a ottobre 2015 (+0,3%) e una variazione negativa rispetto a novembre 2014 (-1,0%).
I dati odierni sulle vendite al dettaglio del mese di giugno confermano, pur se in maniera non univoca, il periodo di discreto rafforzamento della domanda da parte delle famiglie (che almeno per la metà, giova ricordarlo, si indirizza nell’acquisto di servizi). Ciò anche grazie al recupero di potere d’acquisto dovuto al permanere di una inflazione al di sotto dell’1%.
E’ quanto afferma l’Ufficio Economico della Confesercenti, commentando i dati diffusi questa mattina dall’Istat.
Se si esaminano i dati delle vendite in volume, osserviamo come la dinamica sia sostanzialmente positiva (+1,1% il tendenziale, +0,2% il 2^ rispetto al 1^ trimestre). Una tendenza che accomuna tutti i comparti merceologici tranne l’informatica e gli elettrodomestici-tv. Questo è coerente con la previsione di variazione della spesa delle famiglie dello 0,6% su base annua, una variazione positiva, ma non così decisa, per ora.
La nostra preoccupazione deriva dal fatto che, però, continua ad essere in campo negativo la variazione in valore (quindi in volume il dato è ancora peggiore) nei primi sei mesi dell’anno per le piccole imprese (-0,3%), mentre è largamente positiva per la GDO (+1,4%). Continua, insomma, ad allargarsi la forbice tra i diversi formati distributivi. Della leggera ripresa dei consumi, in effetti, sembra aver beneficiato solo la grande distribuzione, anche grazie alla deregulation degli orari di apertura nel commercio; mentre per i negozi tradizionali si preannuncia l’ennesimo autunno difficile, con ulteriori chiusure di attività.
Per quanto riguarda l’inflazione, si conferma che quella di fondo è su livelli non preoccupanti, pari 0,7% e che non ci sono tensioni particolari. Il contributo principale continua a provenire dal comparto degli energetici. Questo favorisce, come detto, il recupero del potere d’acquisto delle famiglie, che però non è detto sia indirizzato tutto ai consumi. Il quadro dei prezzi, quindi, è caratterizzato da un periodo di sostanziale assenza di tensioni, sia sul fronte interno, sia su quello estero, dato l’andamento tendenzialmente cedente delle materie prime.
L’indagine svolta dalla Confesercenti E.R. sui risultati dei saldi in regione presso un campione di esercenti del settore abbigliamento, dal 5 gennaio scorso, inizio dei saldi, all’ultimo week end, conferma una leggera ripresa delle vendite rispetto all’anno scorso.
Infatti, secondo il rilevamento, rispetto al 2014, le vendite risultano aumentate per il 17% degli intervistati, stabili per il 54%, mentre solo per un 29% risultano diminuite.
Ottimismo anche per quanto riguarda le aspettative del prosieguo dei saldi per la maggior parte degli interpellati, anche in virtù dell’annuncio del ritorno del freddo invernale: oltre il 35% degli esercenti ritiene che sarà “abbastanza buono”, il 3% “molto buono”, stabile il 43%, “abbastanza negativo” il 15% e “molto negativo” solo il 4%.
Queste percentuali sembrano perciò confermare una leggera ripresa nella capacità di acquisto degli emiliani romagnoli, e una percezione più ottimistica riguardo al futuro da parte delle piccole e medie imprese.
L’Ufficio economico di Confesercenti E.R, ha calcolato che la spesa media è stata stimata in 160 € procapite.
Indagine Confesercenti sul peso della tassa dei rifiuti nel 2015 nei comuni capoluogo di Regione. Alberghi, ristoranti e bar i più tartassati: pagano 1,2 miliardi. A Napoli la Tari più alta per le imprese di commercio e turismo, all’Aquila le tariffe più leggere. Vivoli: “Ormai è imposta locale slegata dal servizio di raccolta”
Salasso da rifiuti. La Tari, la Tassa sui Rifiuti che ha sostituito la Tares, potrebbe costare quest’anno ai contribuenti fino a 10 miliardi di euro, di cui 4 a carico delle sole imprese. L’aumento – di circa il 20% sullo scorso anno e di oltre il 100% dal 2008 – è dovuto al susseguirsi di nuove tasse e poi di ritocchi verso l’alto della tariffa da parte dei comuni in tutta Italia. Particolarmente tartassate le imprese della somministrazione e del turismo: da alberghi, ristoranti e bar arrivano complessivamente 1,2 miliardi del gettito Tari.
E’ quanto stima Confesercenti, sulla base di un’indagine sull’incidenza della Tassa sui Rifiuti nei vari capoluoghi di Regione italiani con l’esclusione di Trento dove vige una tariffa non confrontabile. L’analisi è partita da campioni tipo (tab.1) di diverse tipologie di imprese del commercio e del turismo, al fine di effettuare su questi un’analisi statistica dei rispettivi tributi applicati nei diversi comuni presi in considerazione. Dalle rilevazioni emerge una vera babele tributaria in cui, a parità di condizioni, si rilevano forti differenze da città a città non solo in merito all’importo della tassa, ma anche in merito alle esenzioni e alle agevolazioni e relativamente alla qualità del servizio e alla sostenibilità ambientale.
Tra i comuni capoluogo d’Italia (tab.2), è a Napoli dove si registra la Tari media più alta a carico delle imprese del commercio e del turismo esaminate: 5.567,89 euro, un valore l’84% superiore a quello di Milano. In seconda posizione Firenze, dove le attività dei due settori pagano in media 4.975 euro l’anno, seguita da Roma (4.902 euro). La Tari media più leggera si paga invece a L’Aquila: sono 1.473 euro l’anno, il 278% in meno rispetto a Napoli. Bisogna considerare, però, che il Comune abruzzese sembra aver scelto di mantenere basso il tributo, una posizione di tipo politico dell’amministrazione locale per non gravare ulteriormente sulle attività commerciali e turistiche della città, già provate dal sisma – i cui sgravi di emergenza sono terminati nel 2011 – e dalla crisi economica degli ultimi anni. Dopo L’Aquila, la Tari media più leggera si versa ad Aosta (1.745,03 euro), seguita in terza posizione da Campobasso (1.881,09 euro).
Tra le categorie di impresa (tabelle 3 e 4), la Tari pesa soprattutto sugli alberghi: l’esborso arriva fino agli oltre 15mila euro annuali richiesti a Napoli. L’Aquila è il comune dalla mano più leggera: solo 3.249 euro. Elevatissimo anche il contributo richiesto a ristoranti, trattorie e pizzerie, seconda categoria più tartassata: per un’attività di 200 metri quadri, si può giungere a pagare, a Venezia, quasi 12mila euro l’anno. Oltre cinque volte l’importo di Campobasso, dove si pagano poco più di 2.400 euro. Il Comune di Venezia è il più caro anche per un bar, caffè o pasticceria. L’amministrazione ha distinto la tariffa applicata al centro storico con quella applicata alla terraferma: sono entrambe le più elevate, con rispettivamente 4.663,05 € e 4.382,70 € di spesa. Ad Aosta l’esborso è di circa 900 euro.
Il peso dell’imposta scende considerevolmente se si considerano gli esercizi commerciali per la vendita di alimenti. In questo contesto è a Torino la Tari più cara, con un importo vicino ai 3.900 euro. Le tariffe più basse all’Aquila (817 euro). Per i negozi d’abbigliamento Roma risulta il Comune con la Tari maggiore: si pagano oltre 2.300 euro. Un importo incommensurabile rispetto a quello pagato dai commercianti di Milano: nonostante le due città abbiano dimensioni simili, i colleghi milanesi pagano 824 euro, un terzo dei romani. All’Aquila pagherebbero solo 400 euro.
Nemmeno le bancarelle sfuggono alla Tari, considerate dalla tassa alla stregua di un’attività fissa di tipo annuale. Se si prende in esame un banco di mercato di generi alimentari, la tariffa più alta è a Genova, dove raggiunge i 1.522 euro. La Tari più bassa, invece, si paga ad Aosta: 426 euro. Il valore massimo di spesa per la TARI per i distributori di carburanti è risultato quello del Comune di Potenza, pari a 1.957 euro, poco più dei 1875 euro pagati a Roma. Piuttosto distaccata Firenze, che chiede 1.382 euro. Il valore più basso, ancora una volta, è quello dell’Aquila, pari a circa 372euro, seguita da Campobasso (532 euro) e Aosta (600)
“Più che una tassa legata ad un servizio” spiega Massimo Vivoli, Presidente di Confesercenti, “la Tari sembra essere ormai diventata un’imposta locale basata sulla superficie dell’attività e del tutto slegata dalla effettiva produzione di rifiuti e dall’efficienza dei sistemi di raccolta. Un tributo salatissimo, che praticamente in tutti i comuni non appare proporzionato né ai consumi prodotti né al servizio ricevuto e che sta mettendo in ginocchio le imprese del commercio e del turismo. Ci sono state già proteste in molti comuni in tutta Italia. Per questo – annuncia – scriveremo al Presidente del Consiglio Renzi e al Presidente dell’Anci Fassino per individuare soluzioni”.
“La difformità territoriale non è l’unico problema”, spiega ancora Vivoli. “Il prelievo della Tassa sui Rifiuti è cresciuto continuamente negli anni, non solo per le imprese ‘inquinanti’, ma anche per quelle più attente, che riciclano e producono meno rifiuti. E’ evidente, a questo punto, che occorra rivedere al più presto la struttura dell’attuale sistema di prelievo, ridefinendo con maggiore puntualità coefficienti e voci di costi in base al tipo e al quantitativo e qualità di rifiuti effettivamente prodotti, premiando piuttosto chi mette in atto azioni di riduzione della produzione dei rifiuti e chi ricicla. L’annunciata istituzione della Local Tax è l’occasione giusta per evitare che, per una volta, l’imposta diventi l’ennesimo strumento per mascherare le inefficienze delle amministrazioni locali spalmando i costi impropri sulle imprese”.
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